La ricostruzione dei propri schemi con la Terapia Cognitivo Comportamentale


Nel corso degli anni sicuramente la terapia TCC si è fatta vanto della sua efficacia e del suo essere fruibile dalla maggior parte della popolazione per i suoi costi contenuti, grazie ad un numero ristretto di sedute. Quello che inizialmente portava considerazione e ammirazione a questo approccio, negli anni è diventato un’arma a doppio taglio che si sta ritorcendo contro di esso.

 

I detrattori della Terapia Cognitivo Comportamentale (TCC) la denigrano tacciandola di superficialità e grossolanità, colpevole di non scavare abbastanza dietro al sintomo riportato dalla persona che chiede aiuto.

Ebbene. I malinformati, e con “malinformati” non intendo i non addetti ai lavori che hanno il diritto di ignorare tutte le sfumature della psicoterapia, ma coloro che lavorano in questo ambito seguendo approcci di altra natura, ignorano gran parte di questa scuola. Immaginano noi terapeuti comportamentali come freddi robot che impartiscono sempre le stesse tecniche e lo stesso protocollo in base al sintomo, ignorando totalmente la storia della persona e i significati che gli eventi della sua vita hanno rappresentato per lei/lui. Insomma, mi è capitato diverse volte si sentire la frase “Per indagare più a fondo una terapia cognitivo comportamentale non serve a nulla”. In parte è vero. ERA vero negli anni ’70, anni in cui è nata.

Oggi siamo nel 2017 e anche noi terapeuti comportamentisti abbiamo compreso l’importanza di non fermarci al sintomo riportato dal paziente (attacchi di panico, disturbi di ansia, pensieri ricorrenti ecc.), ma di cercare di vedere oltre. Di vedere come si è costruito quel sintomo e soprattutto a cosa serve. Di come la persona si relaziona al mondo e ai suoi familiari, ai suoi colleghi, al partner. Quali sono le dinamiche ricorrenti e perché proprio quelle.

 

Cosa sono gli Schemi?

Tutta questa parte di lavoro nella terapia, sicuramente la più complessa e affascinante, può essere considerata in termini cognitivisti come la ricerca e la ricostruzione condivisa tra paziente e terapeuta di come si sono formati alcun schemi.

Sì, ma cosa sono questi schemi di cui continuo a parlare? Quello che spiego ai miei pazienti è la seguente definizione, che spero sia la versione più comprensibile e completa:

Lo schema rappresenta la struttura che l’individuo utilizza per interpretare la realtà e le esperienze vissute e di cui si avvale per trovare delle spiegazioni, per filtrare le percezioni e per guidare le proprie reazioni.

Uno schema è dunque una rappresentazione astratta delle caratteristiche di un evento, una sorta di traccia dei suoi elementi più rilevanti; può essere sia positivo che negativo, funzionale all’adattamento o meno, può avere origine nell’infanzia o nell’età adulta.”

 

Gli Schemi Maladattivi Precoci 

 Schemi Interpersonali

Se lo Schema è negativo si parla di Schema Maladattivo Precoce che, riassumendo è:

  • formato da ricordi, emozioni e sensazioni somatiche
  • utilizzato per comprendere se stessi e il rapporto con gli altri
  • sviluppato nell’infanzia e nell’adolescenza
  • presente in tutte le fasi di vita
  • formato in seguito alla frustrazione di almeno uno dei cinque bisogni primari dell’uomo

Sono consapevole che questo argomento sia molto molto molto complesso e ampio per essere esaurito in un articolo di poche righe e che possa venire compreso solo all’interno di una cornice psicoterapeutica in cui cui si è protagonisti. Questo infatti vuole essere un piccolo semino per instillare curiosità e un nuovo modo di guardare alla terapia cognitivo comportamentale. Per nuovi approfondimenti ci saranno altri articoli. [Spoiler: sui cinque bisogni primari dell’uomo]

 

Dott.ssa Sabrina Franzosi – Psicologa Psicoterapeuta a Bologna e a Molinella

 

  


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